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Un diario di cose celesti

Chi siamo? Perché?

L’era della reionizzazione

20 Jul 2010 10:46 PM – Michele Diodati

Il testo seguente riproduce le pagine 101-103 del libro di John Gribbin, "L’Universo. Una biografia" (Raffaello Cortina Editore).

Un grafico che riassume schematicamente la storia evolutiva dell'universo, mettendo in evidenza gli eventi che denotano la cosiddetta Era della Reionizzazione (<a href="http://www.astro.caltech.edu/~george/reion/reionexplbig.jpg" target="_blank">vedi alla massima risoluzione</a>). Cortesia: S.G. Djorgovski et al. & Digital Media Center, Caltech

Un grafico che riassume schematicamente la storia evolutiva dell'universo, mettendo in evidenza gli eventi che denotano la cosiddetta Era della Reionizzazione (<a href="http://www.astro.caltech.edu/~george/reion/reionexplbig.jpg" target="_blank">vedi alla massima risoluzione</a>). Cortesia: S.G. Djorgovski et al. & Digital Media Center, Caltech

All’epoca della ricombinazione, qualche centinaio di migliaia di anni dopo l’inizio dell’Universo, le increspature nella radiazione cosmica di fondo a microonde tradivano irregolarità nella distribuzione della materia barionica di circa una parte su centomila. Ciò equivale a increspature di appena un centimetro sulla superficie dell’acqua di un lago profondo un chilometro. Se non ci fosse stato altro che materia barionica nell’Universo, corrispondente solo al 5 per cento o anche meno della densità richiesta per la piattezza, l’espansione dell’Universo avrebbe stirato queste increspature, distruggendole prima che la gravità potesse mettere insieme una quantità sufficiente di barioni da creare cose interessanti, come le stelle e le galassie. L’attrazione gravitazionale di un’increspatura così piccola sarebbe stata semplicemente troppo debole per resistere all’espansione cosmica. Ma ci sono altre evidenze, provenienti anch’esse dall’analisi della radiazione di fondo, che nel giro di un miliardo di anni (o forse solo mezzo miliardo di anni) dal momento in cui la radiazione fu emessa oggetti caldi simili a stelle o a superstelle si erano già formati e stavano influenzando l’ambiente che li circondava.

Queste prime superstelle riscaldarono infatti i gas vicini. L’energia trasportata dalla luce emessa strappò gli elettroni agli atomi di idrogeno ed elio del gas circostante, reionizzando la materia che durante la ricombinazione aveva originato gli atomi neutri, quando l’Universo aveva un’età pari a circa un millesimo di quella di cui stiamo parlando. Ciò significava che, ancora una volta, c’erano elettroni liberi nell’Universo che potevano interagire con la radiazione elettromagnetica residua del Big Bang. Ma poiché, a questo punto, la densità dell’Universo era diminuita drasticamente, la radiazione di fondo non ne fu completamente oscurata. La materia ionizzata si limitò a lasciare un’impronta sulla radiazione mentre questa l’attraversava. Anzi, l’impronta che osserviamo oggi (e che agisce sulla polarizzazione della radiazione più o meno nello stesso modo in cui gli occhiali da sole polaroid agiscono sulla luce che li attraversa) è l’effetto complessivo di tutte le interazioni tra la radiazione e gli elettroni liberi avvenute lungo tutta la linea di vista dall’epoca della reionizzazione al giorno d’oggi. In altri termini, è l’effetto globale delle interazioni tra la radiazione cosmica di fondo e una “colonna” di elettroni a bassa densità lunga circa tredici miliardi di anni luce. Le osservazioni ci dicono più o meno quanti elettroni ci sono in questa colonna in qualunque direzione nel cielo. Mettendo insieme queste informazioni con la nostra comprensione dell’evoluzione della densità dei barioni nell’Universo man mano che questo si espandeva, otteniamo una stima della lunghezza della colonna e, dunque, un’informazione diretta su dove (o quando) si trovi la fine della colonna, all’epoca della reionizzazione. C’è un margine d’incertezza su queste stime, in parte perché la reionizzazione probabilmente ha avuto luogo nell’arco di un periodo di centinaia di migliaia di anni, invece di accendersi dappertutto nell’Universo nello stesso momento, e in parte perché le osservazioni basate sugli studi del fondo a microonde danno come risultati stime leggermente differenti da quelle basate sugli studi degli oggetti luminosi più distanti che conosciamo, i quasar. Ma questi sono dettagli che saranno risolti dalla prossima generazione di ricercatori. Ciò che è inequivocabilmente chiaro è che la reionizzazione era già avvenuta un miliardo di anni dopo il Big Bang, a distanze [1] corrispondenti a redshift superiori a 7.

La conferma che a questo punto la materia si era già raggruppata a creare stelle e piccole galassie (chiamate galassie nane) è arrivata dal telescopio spaziale Hubble che ha realizzato osservazioni di un minuscolo pezzetto di cielo con un lunghissimo tempo di esposizione per ottenere le immagini degli oggetti più deboli, cioè meno luminosi (almeno all’apparenza) e più distanti nel campo visivo. Tecnicamente, si dice che ha realizzato un campo ultraprofondo (HUDF, dall’inglese Hubble Ultra Deep Field). L’analisi del HUDF nel 2004 ha individuato circa cento deboli macchie rosse, ciascuna corrispondente a una galassia nana, visibili grazie alla luce che hanno emesso quando l’Universo aveva poco più di un miliardo di anni. Ma neanche questi possono essere i primi oggetti caldi, che devono invece essersi formati a un redshift compreso tra 15 e 20, corrispondente a un look-back-time dell’ordine dei 13 –13,5 miliardi di anni, a soli duecento milioni di anni circa dal Big Bang. Se potessimo visualizzare quegli oggetti, sarebbe come un settantenne che riuscisse a guardare indietro nel tempo, vedendo se stesso all’età di undici mesi [2].

Si tratta ancora in parte di congetture, facilitate da simulazioni realizzate al computer, su come si siano formati i primi oggetti caldi, ma crediamo di sapere cosa sia successo.
  

Note

[1] La luce impiega un tempo finito per attraversare lo spazio. Poiché il redshift di una sorgente cosmologica ce ne rivela la distanza nell’Universo in espansione, i redshift indicano in effetti quanto lontano si guarda nel tempo (look-back-time). Il look-back-time corrispondente a un redshift di 6, per esempio, è di 12,5 miliardi di anni. Per confronto, la ricombinazione è avvenuta a un redshift di 1000.

[2] Sorprendendo e riempiendo di gioia molti astronomi, verso la fine del 2005 una squadra di osservatori che studiavano la luce a infrarossi raccolta dal telescopio spaziale Spitzer (NASA) annunciò di aver visto un debole bagliore di radiazione di fondo a lunghezze d’onda dell’infrarosso (assai diversa dalla radiazione cosmica di fondo a microonde) che poteva essere la luce sbavata e ad alto redshift proveniente da queste primordiali stelle di “popolazione III”, viste a una distanza di 13 miliardi di anni luce. Si tratta di un’evidenza indipendente a sostegno dei calcoli sul periodo di reionizzazione; comunque, non è ancora la stessa cosa che riuscire a visualizzare direttamente singole stelle risalenti a tanto tempo fa.

Riferimenti

Tag: reionizzazione, redshift, articoli, cosmologia, libri

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